mercoledì 18 febbraio 2009

Una goccia

Camminare, camminare in una fresca serata autunnale, parlottando con un amico rimandando il momento di andare verso la sua macchina.

Una goccia. Una goccia fresca, delicata. La traiettoria retta, un po’ storta, sottile, quasi invisibile fra le luci della città.

La mano passa tra i capelli, come a constatare dove sia caduta la goccia di prima. Nasce uno strano sorriso, gli zigomi si alzano, le labbra socchiuse, lo sguardo lucido.

Tre passi in avanti. Un’altra goccia. La guancia umida, gli occhi sfidano il cielo guardano verso le nuvole. Poco più in là poche parole, veloci, sta iniziando a piovere. Una macchia grigia, viene incontro. Un impermeabile. Rumori di passi veloci. Sta succedendo qualcosa. Il rumore aumenta. Tutto va più veloce.

Passa di fianco una figura sinuosa, slanciata, rossa. Una donna sta correndo sotto un balcone. Attorno le persone camminano a passo sostenuto. Intanto le gocce si moltiplicano, si riproducono in aria, diventano più grosse, più veloci, più belle, più fresche. Si vanno aprendo gli ombrelli della gente vicina. I marciapiedi si svuotano. I rumori aumentano.

Le macchine si accendono. Il traffico si muove. I fari si accendono. Rumori di clacson. Una mano. Una mano bianca, poco pelosa. Una mano si affaccia a un finestrino, poi si allontana.

Tutto attorno è più veloce. Tutto, non tutti. C’è ancora quel sorriso. Si allarga. È un sorriso solitario tra l’inespressività della fretta. Il calore della lentezza è più forte dei termometri. I passi lenti, cadenzati. Una nuvola si svuota completamente, maestosamente. Una luce improvvisa, un tuono. Rumore. Buio. Luce. Rumore. Buio. Luce. Natura contro asfalto. Luci improvvise si stagliano sul manto nero. Le macchine sembrano fare entra e esci da gallerie.

Le macchine e le persone sembrano anche più belle.

Gli occhi socchiusi. I capelli bagnati. Lo sguardo divertito. Godere del momento: che goduria!

Le braccia si allargano, le mani si aprono, si tendono con i palmi in alto. Le gocce sono sempre lì, unica costante dell’evoluzione del paesaggio.

Tutto si muove, le macchine, le persone, tutto velocemente. Le gocce, gli occhi, quasi lentamente. Il tuono arrivato veloce rimbomba a lungo… ispira lentezza.

Pochi passi. Un semaforo. Rosso. La pioggia diventa il sottofondo costante dei passi. Frenesia tutto attorno. Brusio. Verde. Corse veloci verso il marciapiede opposto. Corsa verso il primo balcone. Passi lenti. Tutto occupato. Costeggiano il muro. Altri passi, tranquilli, al centro del marciapiede. Parole confuse. Silenzio assordante. Sguardi sul cellulare, vienimi a prendere, porta l’ombrello. La testa si gira. Un sospiro. Quant’è bello quel palazzo illuminato.

Lunghissimi secondi immobili, dove tutto scappa intorno, trascorrono veloci. Di nuovo passi. Lenti. Tristi.

La macchina è dietro l’angolo. Le chiavi nella serratura. I sedili, morbidi, regolabili, comodi. La cintura, liscia, sicura. Il cruscotto si accende. Il sorriso scompare. La pioggia non vuole perdere un amico, si ribella. Una masculiata di gocce risuona sul vetro.

Frizione. Prima. Altre gocce, insistenti. Il richiamo è forte, ma chi ha le chiavi ascolta il motore che dolcemente si mette in moto.

Due bracciate a sinistra. La pioggia continua a bussare. Freccia a sinistra. Stacca piano di frizione, gli occhi sulla strada. Altre gocce, tristi. La mano sul finestrino, un saluto.

Freddo. Proprio adesso. Acceleratore e via, per la strada, luci accese, autoradio, condizionatore al massimo. Altre gocce, rassegnate. Silenzio. Freddo.

Poche, ultime gocce. Tutto torna normale, tutto bagnato. Niente più lampi; troppo buio. Non si scorgono le stelle: troppa luce. Non si vede ancora la luna, troppo fumo. Non si vede più la natura.

Troppa civiltà.

…cordialmente Vostro, la iena

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